sabato 8 febbraio 2014

Maurice Sachs e Llewyn Davis: due declinazioni dell'abiezione

Ho appena finito Il Sabba di Maurice Sachs. Un libro non facilissimo: non tanto per la scrittura, lineare e gradevole, ma perché mi sono trovata alle prese con un personaggio che non fa mistero di sentirsi sprofondare nell'abiezione. Una persona che sbaglia, sapendo di sbagliare. E che, dopo brevi quanto superficiali pentimenti, non trova di meglio che tornare a sbagliare con pervicacia.

Quella di Maurice Sachs è un'autobiografia, che viene scritta con intento purificatorio. La postfazione dell'autore e le note aggiunte all'edizione degli Adelphi si incaricano di farci sapere che la purificazione non avrà mai luogo. Sachs continuerà a sbagliare e morirà di quegli sbagli. 

Mentre leggevo questo libro mi è anche capitato di andare al cinema dove ho visto "A proposito di Davis" dei fratelli Coen. E' la storia di un cantante folk che cerca il successo ma che continua a trovarsi nei guai. Senza soldi, con pochi amici e sempre meno speranze di arrivare alla fama che sente di meritare, la sua vita sembra ridotta a un loop ripetitivo fatto di sotterfugi per sopravvivere, fughe ed episodi fra il divertente e il raccapricciante.

Mentre deponevo Il Sabba in libreria, mi sono resa conto finalmente del perché "A proposito di Davis" mi avesse colpita molto poco mentre Il Sabba, tutto sommato, mi è parso una lettura interessante.
Dopotutto, queste due opere hanno moltissimo in comune.
Sia Maurice Sachs che Llewyn Davis aspirano a qualcosa che non riescono ad avere: la grandezza dell'artista. Vivono in mezzo ad altri artisti, ne condividono l'esistenza, ne percepiscono il talento e se li vedono passare a fianco come astri luminosi, senza accorgersi di essere fatti di un'altra pasta.
Tutti e due ricorrono a espedienti poco nobili per sopravvivere: chiedere prestiti, sfruttare un divano a caso, dedicarsi a piccoli e grandi imbrogli.

Se Sachs riesce, in alcuni momenti della propria vita, a sperimentare l'ebbrezza del lusso sfrenato, Llewin Davis non ha questa fortuna: dall'inizio alla fine della pellicola lo vediamo indossare gli stessi abiti, e non si può dire che sia molto bravo a gestire le proprie finanze. Se Sachs passa dai salotti della buona società agli hotel di quinta categoria, lo scorcio proposto dal film mostra solo miseria. Miseria, e una speranza che si affievolisce sempre di più.

Ma entrambi questi uomini hanno un punto in comune: intraprendono deliberatamente percorsi senza via di fuga, quasi traendo giovamento dall'abiezione in cui stanno sprofondando. E' come se murassero tutte le uscite d'emergenza, quelle che nella vita reale sono rappresentante dai rapporti umani, dalle reti di solidarietà e di amicizia. Entrambi non sono capaci di farmi amare - hanno fascino, ma non suscitano affetto e tenerezza.

Alla fine ho capito cosa fa la differenza: il Sabba è un libro, come tale non è "muto". Leggendolo ho seguito non soltanto le gesta insensate di Sachs, ma ne ho ripercorso anche i pensieri, contestualizzando le azioni del personaggio. Di Llewin Davis invece continuo a sapere troppo poco per provare un senso di empatia.

Il cinema ha il dono dell'immagine, ma non sempre riesce a essere efficace veicolo per i pensieri, per i tormenti, per i ravvedimenti seguiti da nuove cadute. Ecco, vorrei leggere "A proposito di Davis". Allora forse sì, che mi piacerebbe davvero.